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Il licenziamento economico e l’obbligo di repechage

L’argomento trattato, di indubbia rilevanza, riguarda il licenziamento economico e l’obbligo di repechage.

La Suprema Corte Cassazione ha recentemente ribadito come nel caso di licenziamento economico gravi sul datore la prova dell’impossibilità di repechage.

Spetta al datore di lavoro, infatti, l’onere di allegare la causa che giustifichi il licenziamento del dipendente per un motivo oggettivo quale idoneo fatto estintivo del rapporto di lavoro.

Prima di entrare nel merito della decisione della Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, Sentenza n. 27380 del 29 Ottobre 2018, occorre svolgere alcune doverose premesse in materia di licenziamento economico.

Il licenziamento dei lavoratori per motivi economici è quello determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Per procedere alla risoluzione contrattuale del rapporto vi sono regole differenti a seconda che il licenziamento sia individuale o collettivo.

Nella prima ipotesi, il licenziamento individuale è regolato dalla L. n. 604/1966.

Negli altri casi, invece, la disciplina è contenuta nella L. n. 223/1991.

Si intende collettivo il licenziamento per imprese che occupano più di quindici lavoratori e che intendano effettuare almeno cinque licenziamenti nell’arco di 120 giorni.

Relativamente ai licenziamenti individuali, invece, risulta fondamentale, al fine di verificarne la legittimità, la sussistenza di un nesso di causalità tra i motivi e la risoluzione contrattuale, nonché l’impossibilità di un utile reimpiego del lavoratore (repechage).

Nell’ambito dei licenziamenti individuali, sono previste procedure e tutele differenti a seconda della forza aziendale del datore di lavoro.

La disciplina, peraltro, è stata profondamente modificata dalla Legge Fornero e, da ultimo, dalla Legge delega cd. Jobs Act. e dal relativo decreto attuativo D.Lgs. n. 23/2015.

Quest’ultimo introduce una tutela differente in caso di illegittimità del licenziamento, anche in relazione alla data di instaurazione del contratto di lavoro.

In particolare, le regole sono diverse a seconda che le assunzioni risultino effettuate prima o dopo il 07 marzo 2015, data di entrata in vigore della nuova disciplina.

Ciò precisato, nel caso in cui un datore di lavoro intenda procedere alla risoluzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, adducendo motivi di natura economica, sarà necessario seguire le regole in materia di licenziamenti individuali per giustificato motivo previste della Legge 15 luglio 1966, n.604.

In particolare, l’Art. 3 della suddetta legge prevede che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con preavviso debba essere determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Occorre, tuttavia, che non ricorrano gli elementi perché la risoluzione possa configurare l’ipotesi di licenziamento collettivo, licenziamento, quest’ultimo, che risulta invece regolato dalla legge n. 223/1991, che prevede una procedura molto differente, con il coinvolgimento dei sindacati di categoria e degli uffici amministrativi con competenze in materia di lavoro.

La disciplina normativa in materia di licenziamenti collettivi si applica allorquando:

  • il datore di lavoro abbia in forza un numero di lavoratori superiore a quindici;
  • il datore di lavoro, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intenda effettuare almeno cinque licenziamenti nell’arco di centoventi giorni (il limite di quindici dipendenti deve essere determinato in relazione a ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia).

Nell’ipotesi di licenziamenti individuali, invece, la decisione del datore di lavoro di procedere alla risoluzione del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato per motivi economici determina due conseguenze:

  • la necessità che vi siano le ragioni per potervi ricorrere (a tal fine, va ricordato che l’Art. 5 della legge n.604/1966 prevede che l’onere probatorio circa la sussistenza del motivo che ha determinato il licenziamento spetti al datore di lavoro);
  • la necessità di seguire le corrette procedure per il recesso dal contratto da parte del datore di lavoro.

Ciò precisato, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 27380/2018, ha recentemente affermato come l’esistenza di un giustificato motivo di licenziamento, oltre ad essere sindacabile in sede giudiziale, debba essere allegata dal datore di lavoro.

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda il licenziamento di un dipendente in seguito ad una riorganizzazione aziendale.

Il lavoratore, ritenendo illegittima la scelta datoriale, agisce in giudizio per l’accertamento dell’illegittimità ed inefficacia del licenziamento.

In entrambi i gradi, i giudici di merito imputavano al lavoratore l’onere probatorio relativo al cd. repechage, affermando l’esistenza di un legittimo motivo oggettivo di licenziamento tale da condurre a un’insindacabilità del recesso datoriale alla prestazione lavorativa.

L’ex dipendente ricorreva, quindi, in Cassazione deducendo una violazione degli Artt. 3 e 5 L. n. 604/1966.

La Suprema Corte, con la Sentenza n. 27380/2018, accogliendo le ragioni del lavoratore e riformando la decisione di seconde cure, ha affermato correttamente che:

la prova del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, all’interno del quale si colloca anche la impossibilità di "repechage" (Cass. 12101/2016 cit., in motivazione), quale fatto estintivo del rapporto di lavoro, non può che gravare sul datore di lavoro sia in base alla espressa previsione di cui all’art. 5 Legge n. 604/1966 cit. sia in ragione del principio generale secondo il quale il creditore, provata la fonte legale o negoziale del proprio diritto, ha poi solo l’onere di allegare l’altrui inadempimento, mentre il debitore deve provare i fatti impeditivi, modificativi od estintivi della pretesa azionata (cfr., per tutte, Cass. Sez. Un. 30/10/2001 n. 13533 e successiva conforme giurisprudenza); è stato, inoltre rimarcato che la divaricazione tra oneri di allegazione e oneri probatori non appare coerente con i principi che regolano il nostro sistema processuale in quanto chi ha l’onere di provare un fatto primario (costitutivo del diritto azionato o impeditivo, modificativo od estintivo dello stesso) ha altresì l’onere della relativa compiuta allegazione

Concludendo, i Giudici di Legittimità, rilevando l’erroneità della decisione adottata dalla Corte d’Appello, evidenziano come la prova dell’impossibilità di una diversa utile collocazione lavorativa (repechage) non possa gravare sul lavoratore in quanto non è quest’ultimo a dover indicare al datore l’esistenza di possibili posti di lavoro vacanti. In caso di licenziamento economico, infatti, tale onere compete esclusivamente al datore di lavoro.