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Il folle amore per il fidanzatino della figlia costa alla donna una condanna per violenza sessuale

Il folle amore per il fidanzatino, quindicenne, della figlia, costa alla donna, trentenne, una condanna per violenza sessuale.

Ricostruita la delicata vicenda, la donna, maestra di oltre 30 anni di età, finisce sotto processo per violenza sessuale per i rapporti intimi completi avuti con un ragazzino di 15 anni, fidanzato con sua figlia.

E gli elementi probatori a disposizione, ossia le dichiarazioni del ragazzino e della donna, vengono ritenuti sufficienti per una condanna.

Concordi i giudici di primo e di secondo grado, anche se in Appello la pena viene ridotta a «quattordici mesi di reclusione» e accompagnata dalla concessione della «sospensione condizionale».
Il legale della donna contesta comunque la pronuncia di condanna, sostenendo «l’esclusione del dolo» nel comportamento della sua cliente.

A questo proposito, egli pone in evidenza, dinanzi ai giudici della Cassazione, «lo stato di profonda immaturità» della donna, accertato da una perizia psichiatrica in cui si indica che «ella ha una personalità istrionica, caratterizzata da forte insicurezza interiore, labilità emotiva e dipendenza dagli altri».

Ampliando la linea difensiva, poi, l’avvocato sostiene anche che manchi la prova che la donna «possa aver agito con la volontà di costringere il minore all’atto sessuale attraverso la violenza o la minaccia, né la sua coscienza di attuare la condotta abusando della propria posizione» e, quindi, aggiunge che «la donna avrebbe percepito la relazione col ragazzino come quella tra soggetti alla pari, un fidanzamento vero e proprio», soprattutto alla luce dell’«atteggiamento sessuale sfrontato del minore».

La visione proposta dal legale della donna viene però ritenuta non plausibile dai giudici della Cassazione che, difatti, confermano la condanna così come decisa in appello.

Evidenti, secondo i magistrati, le responsabilità della donna che, viene ricordato, ha «indotto in almeno tre occasioni un ragazzino di 15 anni ad avere rapporti sessuali, assillandolo con continue richieste di andare da lei e usando il ricatto», cioè minacciando di «non fargli vedere la figlia» e di «buttarsi nel fiume» qualora «non avesse aderito a tali inviti» e arrivando addirittura a «cercarlo per le vie del paese».

La condotta tenuta dalla donna non può essere resa meno grave da una sua presunta «immaturità», smentita, osservano i giudici, anche dal fatto che «ella è risultata essere una persona “normoinserita”, maestra, madre della fidanzata del ragazzo» e, quindi, «in grado di percepire la non consensualità del rapporto».

E questa visione non muta, aggiungono ancora i giudici, neanche alla luce delle «condizioni personali della donna», caratterizzate da «immaturità e labilità emotiva» che possono portare solo a riconoscere una «minore intensità del dolo».

La 3° Sezione Penale della Corte di Cassazione, con Sentenza n. 46459/2019, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, così argomentando in diritto:

…quanto all'omessa valutazione della immaturità della ricorrente, ritenuta tale dalla difesa da far venir meno il dolo, deve rilevarsi che la Corte di Appello ha ritenuto, in base ad altri elementi di prova, che la ricorrente fosse una persona normoinserita, educatrice di scuola materna, madre della ragazza frequentata dalla persona offesa, quindi in grado di percepire la non consensualità del rapporto. La Corte territoriale ha poi ritenuto che le condizioni personali della ricorrente, immaturità e la labilità emotiva, fossero solo espressione di una minore intensità del dolo. Orbene, con tale articolata motivazione il ricorso non si confronta, riproponendo la tesi esposta con l'appello; il ricorso, sul punto, è pertanto inammissibile per il difetto della specificità estrinseca

Il motivo, poi, prosegue esclusivamente proponendo la lettura alternativa delle prove già effettuata in primo grado.

Va ricordato, sottolinea la Suprema Corte, che è intangibile la valutazione nel merito del risultato probatorio.

Infatti, pur in presenza della possibilità di dedurre il travisamento della prova, non muta la natura del sindacato di legittimità, che rimane limitato alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento impugnato e non può comportare una diversa lettura del materiale probatorio, anche se plausibile, sicché, per la rilevazione dei vizi della motivazione, occorre che gli elementi probatori indicati in ricorso siano decisivi e dotati di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento del giudice del merito.

Il motivo sul travisamento della prova è generico perché l’omissione non si riferirebbe a specifiche prove ma alla loro valutazione complessiva.

Inoltre, ci si lamenta della errata interpretazione delle perizie: dunque, si pone una questione relativa alla valutazione della prova laddove il cd. «travisamento della prova» si realizza nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia.

La Corte di Cassazione, infine, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ha condannato la ricorrente al pagamento della somma di Euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende e alla rifusione delle spese sostenute della parte civile.